mercoledì 20 febbraio 2013

I Futuristi? Costretti a Vendola o Grillo



Corriere della sera

SETTE



DALLE RIVISTE “PRO” ALLA “DISSIDENZA” VERSO IL FASCISMO DEL 1938

I Futuristi? Costretti a Vendola o Grillo

Dei seguaci di Marinetti si sono appropriati i moderati centristi di Futuro e Libertà. Ma loro odiavano il centro. Erano l’antipolitica

Ai futuristi storici, che in Italia erano fascistissimi e in Russia comunistissimi e ovunque nazionalistissimi, dunque estremisti naturali in arte come in politica, non sarebbe piaciuto prestare la propria ragion sociale a un partito moderato, sia pure postfascista, com’è accaduto alcuni anni fa, quando una scissione del partito berlusconiano ha generato la diaspora centrista di Futuro e Libertà, i cui membri si sono proclamati futuristi. Vero che il centrismo, da noi, non è meno estremista dei partiti fortemente identitari, come si dice in gergo opinionistico. Ma i futuristi avrebbero protestato lo stesso: il centro, lo aborrivano. Avrebbero preferito stare dalla parte del torto. Del torto e dell’antipolitica.
Costretti a scegliere, non avrebbero preso partito per Mario Monti ma per Nichi Vendola e per Beppe Grillo (ma anche per il Berlusconi più futurista, quello che si compiace per “l’invidia sociale”). Tutto ma non il centro. «Odiamo talmente il centro dell’esistenza facile e dell’arte tutta carne», si può leggere inMarciare non marcire, numero unico d’un foglio futurista del 1924, «che piuttosto che sedere sulle nostre comode natiche preferiamo procedere a capitomboli sulle vie disselciate del futuro». Non è detto, d’altra parte, che tutti i futuristi fossero d’accordo con questo squillo di tromba. Forse a qualcuno di loro, oltre che il centro della scena, piaceva anche il centro politico, non fosse che per amore della battuta, come illustra nei dettagli, un’iperbole via l’altra, il primo prezioso volume del catalogo della Collezione Echaurren Salaris, Riviste futuriste, a cura di Claudia Salaris (Gli Ori, Pistoia 2012, pp. 1.186, 100 euro). Niente era sacro per i futuristi. Anche Marinetti, ai loro occhi, era un bersaglio per le torte in faccia: «Marinetti, poeta di cartello / ha una bombarda al posto del cervello. / Quindi, se parla è sempre sulle mosse / d’accender bombe e di spararle grosse».
La terza via. Claudia Salaris, nelle belle schede bibliografiche che commentano la storia dell’editoria futurista, ci mostra i futuristi in abiti profetici. Nell’Epistola ai romani, del 1919, si «suggerisce come soluzione ai mali dell’urbe l’esproprio delle terre incolte dell’agro romano, l’“abbattimento dei quartieri antichi e malsani e dei ruderi antigienici e ingombranti”, anticipando così le bonifiche e gli sventramenti edilizi del fascismo, nonché l’“esportazione del Papato con relativo sgombro di preti di tutti i colori e di tutte le categorie”». Oppure ce li mostra intenti a liquidare anche i punti cardinali della politica, mentre «tra il conservatorismo e il socialismo» optano «per una terza via, così riassunta da Bottai: “Siamo costretti tra una borghesia che non ha più una fede e un proletariato che non ha ancora una fede. Soli”» (Il nostro bolscevismo, 26, 14 marzo 1920).
Claudia Salaris ci mostra i futuristi anche nelle vesti di dissidenti nel nome di cause di gran lunga meno equivoche e ambigue di quelle di cui oggi s’accontenta l’antipolitica. Scena: «Marinetti al Teatro delle Arti a Roma, il 3 dicembre 1938. Sotto i riflettori, il fondatore del futurismo rispolvera il vecchio abito del contestatore, guardato a vista dalle forze dell’ordine. Viene distribuito un fascicolo d’Artecrazia, nel cui editoriale si legge: “Oggi è la guerra agli ebrei che vi fa gioco. Ma fra un vecchio ebreo squadrista, legionario, fascista e uno pseudofascista, cumulista, arraffatutto, ruffiano e servitore prezzolato, io sono decisamente per il primo. […] Arte moderna? Ve ne fregate. Futurismo? Ve ne arcifregate. Sono altre le vere ragioni dei vostri isterici furori”». Secondo lo storico Renzo De Felice questo passo rappresenta «uno dei più violenti attacchi che mai sia stato scritto da fascisti alla corruzione e all’ipocrisia del fascismo».

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