venerdì 6 aprile 2012



Suicidi e altri abbandoni, la chiamano crisi
ma è una dichiarazione di guerra

Giorgio CappozzoPubblicato da 
il 6 aprile 2012.
Pubblicato in gli Altri.

- 3 aprile Nunzia C., 78 anni, si lancia dal terrazzo di casa. L’Inps le aveva ridotto la pensione da 800 a 600 euro.
- Il primo aprile un artigiano di 57 anni si è impiccato all’interno della sua bottega a Roma per ‘’problemi economici’’.
- Il 27 marzo scorso Giuseppe Pignataro, 49 anni, di Trani, si è lanciato dal balcone perché non riusciva a trovare un lavoro stabile.
- Il 23 marzo un imprenditore quarantaquattrenne di Cepagatti (Pescara) si è impiccato nella sua azienda, strozzato dai debiti.
- Il 21 marzo un uomo di 47 anni che gestiva un’attività commerciale da due anni era senza lavoro, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua automobile nel cosentino.
- Il 21 marzo un imprenditore edile, 53 anni, in crisi da tempo per i crediti, si e’ tolto la vita impiccandosi in una baracca dietro casa nel bellunese, mentre i familiari lo aspettavano a cena.
- Il 20 marzo un giovane artigiano di 29 anni si è impiccato a Scorano (Lecce). L’uomo ha lasciato un biglietto spiegando che non riusciva a trovare un altro lavoro e che era disperato.
- Il 9 marzo Vincenzo Di Tinco, titolare 60/enne di un negozio di abbigliamento si è impiccato ad un albero a Ginosa Marina (Taranto). In pochi giorni si era visto addebitare, forse per errore, 4.500 euro di commissioni bancarie e rifiutare un prestito di poco più di mille euro.
- A febbraio un elettricista di Sanremo, 47 anni, si è suicidato sparandosi al capo con una pistola. L’uomo era stato licenziato qualche settimana fa dalla ditta nella quale lavorava da molti anni.
- Un imprenditore 64 anni si è impiccato nello stesso mese all’interno del capannone della sua azienda, nel fiorentino, per motivi economici.
- A Paternò (Catania) un altro imprenditore di 57 anni si è impiccato in un deposito di proprietà della ditta della quale era titolare, per i debiti contratti dalla sua azienda.
fonte: Quotidiano.net

Scriveva Ungaretti che i soldati stanno come d’autunno sugli alberi le foglie. Abbandonati alla solitudine della trincea, allo strazio del loro destino. Abbandonati. “Abbandonare”: ab, particella che indica la separazione, ebandum, bandiera (o truppa e armento). Chi è abbandonato è disertato. E chi abbandona – la politica, i media, la società – condanna alla deriva. Poi c’è un’altra ipotesi etimologica: dal francese bandon, bando, non già nel senso di “mettere in bando”, quanto vendere all’asta pubblica, dare in balìa. Lo spettro dei significati e dei rimandi si allarga oltre gli scenari di guerra, travalica i fronti, e torna a noi che siamo qui, tra esodati, intermittenti e altre linee di un esercito confinato nella sterminata Cefalonia.
Messo a sentinella del proprio terrore, il soldato avanza sulla sabbia battuta, sguardo all’erta e fucile in braccio. Giorni addietro un artigiano edile, Giuseppe, nato a Caserta 58 anni fa e residente a Ozzano, in Emilia, si è alzato, ha preso la sua Punto bianca e si è diretto verso l’Agenzia delle Entrate di Bologna. Ha cosparso l’auto di benzina – con cura, pneumatici compresi – si è chiuso dentro, ha acceso il fuoco e atteso che le fiamme lo ingoiassero. Lo ha salvato un vigile. Con la giacca si è lanciato sul falò, soffocandolo. Ha trascinato fuori il corpo di Giuseppe. Vivo, ma con addosso i segni della battaglia. In un paio di lettere, ritrovate vicino all’auto, i motivi del gesto. Una era destinata alla commissione tributaria, che gli aveva respinto un ricorso: «Quello che ho fatto, l’ho fatto in buona fede, ho sempre pagato le tasse. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna». E una alla signora: «Caro amore mio, stamattina sono uscito presto e ho avuto paura di svegliarti, oggi è una brutta giornata. Ti voglio tanto bene». Come una missiva dal fronte. Stesso fragilissimo equilibrio tra la consapevolezza della fine ormai prossima e la consuetudine degli affetti. Non ha paura più di nulla, il soldato, se non «di svegliarti».
La risposta a telecamere accese del capo del Fisco Attilio Befera, resa con piglio da generale Cadorna, ha completato il dramma a soggetto: «In un momento di difficoltà economica e di crisi finanziaria episodi come questi purtroppo possono accadere». Insomma, è la guerra, bellezza. Non ci è chiaro, ma ce l’hanno dichiarata.
Sotto il dominio dei ragionieri, che armati di piffero vorrebbero traghettarci verso le lande della stabilità, la geremiade più intonata è «siamo stati abbandonati». Dai bisarchisti ai precari, dalle valli alle torri, dalle fabbriche ai teatri, l’umanità affollata sul ciglio di qualcosa, svelando l’oblio, reclama il diritto di un “ritorno a casa”. Eppure, proprio nel momento in cui ci vorrebbero armati di risorgimental spirito e i dispacci propagandano «l’Italia è un paese solido» e i numeri seminano sconforto, veniamo presi da un senso di allucinante anonimato.
Al margine delle parate, coloro che all’esecutivo riconoscono la “necessità” del suo lavoro finiscono inesorabilmente con l’accusare di “diserzione” chi tenti di placarne la marcia. È come se il concetto di abbandono avesse assunto, a forza di introiettarsi nell’esercizio di governo e nell’animo delle persone, la sua accezione riflessiva. Abbandonarsi, dunque, agli eventi e a chi li descrive. A quel potere che, in odor di resa, afferma: «Se il Paese non è pronto il governo potrebbe non restare».
La frase, pronunciata dal premier dopo settimane di Piave ideologico sull’articolo 18, insiste nell’estrema ratio: o vi concedete in toto oppure… Ma la pretesa è l’anticamera della fuga. È la dichiarazione, in forma di comando, della propria sconfitta. Si è mai visto un generale ordinare ai propri soldati di arrendersi (anzi, di abbandonarsi) per combattere? La pretesa è l’alibi perfetto. Operazione cinica e bara. E un po’ vigliacca, per rimaner nel lessico marziale. Perché la guerra c’è. La si percepisce, la si tocca con mano. La miseria, la distruzione, l’imbarbarimento. E c’è il controllo, l’autorità e i suoi arnesi. Ma manca il racconto, la politica, le parole che sappiano preconizzare, con un “ritorno” a casa, la fine dell’abbandono. Manca un (felice) Otto settembre.
La guerra c’è. Non ci è chiaro ma ce l’hanno dichiarata. I militi ignoti marciano in un conflitto che non conoscono. Che viaggi attraverso le pianure emiliane o cingoli nelle valli di Herat, il soldato avanza, avanza, avanza in cerca di nemici, fino a inventarseli. Un mese fa il marine Robert Bales, 38 anni, ha imbracciato il mitra e ne ha uccisi 16, presi a caso tra i civili. Giuseppe l’edile, il suo, ha cercato di incenerirlo dentro una Punto bianca.
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Sul numero in edicola da oggi articoli e interviste sui militari in Afghanistan, il più esemplare degli abbandoni da parte della politica. Noi crediamo che se si è contro la guerra, quella armata e quella civile di tutti i giorni, bisogna innanzitutto essere dalla parte dei soldati.
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